Col termine emozione ci si riferisce ad un
sentimento, ai relativi pensieri, alle condizioni biologiche e
psicologiche che lo contraddistinguono, e ad una o più propensioni ad
agire ad esso connesse.
Le emozioni influenzano la percezione,
la memoria, la capacità di giudizio e quella di prendere decisioni.
Consentono anche di trasmettere agli altri informazioni importanti su
noi stessi; spesso, infatti, le emozioni sono accompagnate da
cambiamenti nella mimica del volto che le rendono “leggibili”
dall’esterno.
E’ possibile descrivere decine e decine
se non centinaia di emozioni e da sempre il tentativo di chi le studia è
stato quello di trovare un tipo di classificazione universale,
sufficientemente ampia da tener conto delle numerose sfumature delle
esperienze emotive umane, della loro diversificazione in termini di
reazioni e delle loro relazioni con il lessico emotivo.
L’universalità di alcune emozioni è
stata suggerita da studi interculturali in cui i ricercatori hanno
mostrato a individui appartenenti a differenti popolazioni e culture,
immagini che rappresentavano espressioni facciali caratteristiche di
diverse emozioni. Le espressioni relative ad alcune emozioni, ma non ad
altre, sono state riconosciute in ogni cultura del mondo, anche presso
popolazioni di persone analfabete e che non ricevevano alcuna influenza
né dal cinema né dalla televisione. E’ proprio in base a queste ricerche
che la gran parte degli studiosi oggi concorda nel dire che è possibile
suddividere le emozioni in primarie (o di base) e secondarie.
Le emozioni primarie
sono caratterizzate da automatismo, involontarietà e rapidità nello
scatenamento, oltre a spontaneità e limitata durata della reazione;
queste emozioni sono:
- la gioia
- la paura
- la collera
- la tristezza
- il disgusto
- la sorpresa
Le emozioni secondarie,
invece, sono collegate allo sviluppo del linguaggio, della coscienza di
sé, all’autovalutazione, più in generale alle elaborazioni cognitive, e
perciò tendono ad emergere tardivamente (in genere tra il primo e il
quarto anno di vita). Esempi di emozioni secondarie sono:
- l’invidia
- il disprezzo
- la gelosia
- l’imbarazzo
- la fierezza
- la colpevolezza
- la vergogna
Dietro ogni emozione esistono programmi
neuromotori innati, evidenziabili già nei primi mesi di vita e capaci di
suscitare alcune reazioni fisiologiche tipiche (ad esempio aumento
della pressione arteriosa e del ritmo cardiaco), che però l’ambiente può
contribuire a modificare adattandoli alle varie situazioni di vita. http://www.mentesana.it/
I più, per così dire, vulnerabili emotivamente di fronte a spettacoli
violenti, che “spezzano il cuore” o rivoltanti trasmessi per esempio in
TV, non sono i giovani ma gli adulti. E più si va avanti con gli anni,
più si è in difficoltà nel ripararsi dall’impatto che questi hanno sulla
propria emotività. Quello che tuttavia può sembrare uno svantaggio, in
realtà può tradursi in maggiore intelligenza emotiva ed empatia con il
prossimo.
Ecco quanto affermato da un nuovo studio condotto dagli psicologi dell’Università della California Berkeley. Il dottor Robert Levenson e colleghi hanno scoperto infatti come le risposte emotive cambino con l’età. Se prima eravamo maggiormente in grado di porre un freno, o un tappo sull’esplodere delle emozioni, quando diventiamo più anziani perdiamo, per così dire, a mano a mano questo controllo. In questo modo diventiamo più sensibili a certi spettacoli, ma anche più sensibili ai problemi degli altri e, spesso, arriviamo a comprendere meglio certe situazioni e a trovare una soluzione laddove altri sono in difficoltà.
In un certo senso è la rivincita degli anziani che, spesso messi da parte per “raggiunti limiti d’età, in verità possono essere molto utili anche sul lavoro, e non solo nelle relazioni sociali. Per esempio, spiegano i ricercatori, gli anziani possono essere migliori dei colleghi più giovani nel vedere il lato positivo di una situazione stressante, simpatizzare con i meno fortunati e trovare soluzioni inaspettate.
Queste conclusioni sono il frutto di due studi condotti e pubblicati in tempi diversi sulle riviste Psychology and Aging e Social Cognitive and Affective Neuroscience.
«In modo crescente, sembra che il significato della tarda vita si concentri sulle relazioni sociali, l’essere curati e prendersi cura degli altri. L’evoluzione sembra avere accordato i nostri sistemi nervosi in modi che siano in qualche modo ottimali per le attività interpersonali e compassionevoli a mano a mano che invecchiamo», scrive Levenson su Psychology and Aging.
Altro che anziani induriti dalla vita, poco sentimentali o disponibili: se vogliamo trovare conforto e magari anche una soluzione a un problema che ci assilla, possiamo rivolgerci al “vecchio saggio” che alberga in loro – come d’altronde era uso un tempo. http://www3.lastampa.it/
Ecco quanto affermato da un nuovo studio condotto dagli psicologi dell’Università della California Berkeley. Il dottor Robert Levenson e colleghi hanno scoperto infatti come le risposte emotive cambino con l’età. Se prima eravamo maggiormente in grado di porre un freno, o un tappo sull’esplodere delle emozioni, quando diventiamo più anziani perdiamo, per così dire, a mano a mano questo controllo. In questo modo diventiamo più sensibili a certi spettacoli, ma anche più sensibili ai problemi degli altri e, spesso, arriviamo a comprendere meglio certe situazioni e a trovare una soluzione laddove altri sono in difficoltà.
In un certo senso è la rivincita degli anziani che, spesso messi da parte per “raggiunti limiti d’età, in verità possono essere molto utili anche sul lavoro, e non solo nelle relazioni sociali. Per esempio, spiegano i ricercatori, gli anziani possono essere migliori dei colleghi più giovani nel vedere il lato positivo di una situazione stressante, simpatizzare con i meno fortunati e trovare soluzioni inaspettate.
Queste conclusioni sono il frutto di due studi condotti e pubblicati in tempi diversi sulle riviste Psychology and Aging e Social Cognitive and Affective Neuroscience.
«In modo crescente, sembra che il significato della tarda vita si concentri sulle relazioni sociali, l’essere curati e prendersi cura degli altri. L’evoluzione sembra avere accordato i nostri sistemi nervosi in modi che siano in qualche modo ottimali per le attività interpersonali e compassionevoli a mano a mano che invecchiamo», scrive Levenson su Psychology and Aging.
Altro che anziani induriti dalla vita, poco sentimentali o disponibili: se vogliamo trovare conforto e magari anche una soluzione a un problema che ci assilla, possiamo rivolgerci al “vecchio saggio” che alberga in loro – come d’altronde era uso un tempo. http://www3.lastampa.it/
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